© foto Francesco Galli
MOSTRA FOTOGRAFICA “APOTROPAICHE. SCULTURE ANTROPOMORFE TRA CREDENZA POPOLARE E SUPERSTIZIONE”
A ben guardare le montagne del nostro Appennino nascondono dei particolari che sfuggono al passante, ma che testimoniano un frammento importante della storia umana di queste vallate.
Le “mummie” (o “marcolfe” così come vengono chiamate nel territorio del Frignano) sono da considerarsi come alcuni tra i più antichi simboli caratteristici delle montagne appenniniche tosco-emiliane.
Questi volti scolpiti nelle pareti esterne delle abitazioni e degli edifici, rivendicano la propria origine nell’antica cultura celtica, secondo la quale la testa era una delle parti più importanti dell’essere umano. In essa risiedevano infatti i saperi e le virtù. Sempre ai Celti era inoltre atribuita l’usanza particolare di decapitare i nemici e appenderne la testa fuori dalle abitazioni. Col passare del tempo, la decapitazione vera e propria si è addolcita nella scultura, seppur grezza, di teste in pietra.
Ma a cosa servivano esattamente? La funzione di questi volti scolpiti era quella di scacciare gli spiriti maligni dall’edificio. Per questo venivano realizzati con espressioni dai tratti severi e terrificanti, atti a spaventare il maligno e a proteggere la casa. Vengono riconosciute quindi come vere e proprie maschere apotropaiche, sculture cioè con la capacità di allontanare gli influssi negativi dai propri spazi e dalla famiglia.
Ovviamente i volti che troviamo oggi non sono dei reperti di epoca pre-cristiana, ma molti di essi risalgono ai primi del 1400 e in alcuni casi addirittura al 1200. Nel corso dei secoli però, le popolazioni hanno continuato questa antichissima tradizione che continua – sebbene timidamente – sino ai giorni nostri.
E “Apotropaiche” è proprio il titolo della mostra fotografica curata da Francesco Galli, fotografo professionista, che al Centro Natura di via degli Albari 4 a Bologna, ci permette di conoscere più da vicino questa antichissima usanza. La mostra vanta inoltre la collaborazione della ricercatrice Alessandra Biagi dell’associazione di Vidiciatico (BO) Gruppo Studi Capotauro, che già se ne era occupata nel suo libro «Volti di Pietra. Catalogo delle “mummie” belvederiane» (Gli scritturini del Rugletto, Lizzano in Belvedere, 2008, pp222) di cui consigliamo vivamente la lettura.
Sulla base di studi e ricerche, Francesco Galli ha percorso in lungo e in largo il territorio appenninico, trovando dei meravigliosi esempi di questi guardiani di pietra. I suoi scatti in bianco e nero ci riportano ad una dimensione antica del mondo sacro e alle modalità che le popolazioni adottavano per rapportarsi all’ignoto.
Scorrendo le fotografie, alcuni si potranno ricordare delle vecchie favole dei nostri nonni, quando sollecitavano i loro nipoti a schiaffeggiare i “faccioni”, quasi come fosse un rito per esorcizzare e sfidare il male.
La mostra è ad ingresso libero e sarà aperto fino al 3 dicembre compreso. Una bella occasione per conoscere una pagina suggestiva e poco nota della nostra storia montana.
Informazioni
Francesco Galli www.francescogalliphoto.it
Gruppo Studi Capotauro www.capotauro.it
Centro Natura www.centronatura.it